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mercoledì 11 marzo 2015

A proposito del mio prossimo workshop solo per donne

© Vanessa Rusci

                                  © Vanessa Rusci
La fotografia è un linguaggio, la fotografia è un mezzo per esprimersi.
Le cose che mi piacciono di più sono spesso prodotte da fotografi estremamente consapevoli di questo, si prodigano in progetti che raccontano il mondo filtrato dal loro animo, dalla loro sensibilità.
Faccio fotografia da quando ho 18 anni, ho sviluppato un rispetto per quest'arte che va oltre l'immaginabile, rispetto la fatica di chi produce importanti progetti fotografici, il tempo che dedica loro, rispetto la dedizione, il coraggio, la passione.
Mi confronto inizialmente con tutti, poi ovviamente scelgo con chi continuare e con chi no.
Detesto fortemente la superficialità in fotografia, chi crede che sia solo uno scatto, che l'aspetto tecnico superi l'espressione, chi non ha capito il suo linguaggio, la sua funzione.

Detto questo arriviamo al perchè di questo mio workshop.
La prima volta che ho visto una post produzione fatta professionalmente ero al Toscana Foto Festival a Massa Marittima, al workshop di Luca Musacchio  ero l'unica iscritta, era il 1998 o 1999 non ricordo, mi resi conto subito della potenza di questo strumento: era molto molto molto di più di ciò che si poteva fare in camera oscura, più preciso, più veloce, più tutto.
Successivamente a Milano durante una lezione tenuta da Fabrizio Ferri all'Università dell'immagine, nei Super Studi di via Bugatti vidi la prima post produzione professionale applicata su una foto di una ragazza normale che veniva trasformata in modella e compresi ulteriormente quanto potente fosse la fotografia nel creare stereotipi fantastici.

Nel 1999 avevo lavorato sul tema dell'anoressia, a stretto contatto con le ragazze malate, due di loro morirono, una si salvò, Lisa, ho parlato tanto con lei, con i medici che si occupavano della malattia, con i familiari delle vittime, decisi di fare un progetto, ma di non fotografare le malate e di lavorare invece sulla malattia, in maniera simbolica, renderla immaginario, trasformare in immagini la sofferenza, le illusioni, gli attaccamenti, gli errori della mente.
Ne uscì Ana, una istallazione fotografica relazionale, finanziata successivamente dall'Università di Siena.

Ricercando, sperimentando, capivo sempre più che l'immagine e lo stereotipo a cui ambiva chi si ammalava di un disturbo alimentare era un'illusione.
Era frutto di credenze che spesso nascevano da immagini di donne perfette, di donne che non esistevano nella realtà.
Non volevo lavorare solo sull'aspetto psicologico, ma affrontare il ruolo dell'immagine e creare altre immagini che stimolassero la riflessione.
Partecipai a un corso tenuto dalla fotografa toscana Cinzia Canneri che ci fece lavorare sul corpo e sull'autoscatto, sperimentai su di me la forza di guardare il proprio corpo da molti punti di vista, capii che l'immagine che produceva abbatteva il mio pre concetto, non sono mai stata magrissima, combattevo come tutte le donne con la linea, con il peso, con l'aspetto e poi io ero una di quelle che venivo sempre male in foto. Quel lavoro diede il via alla ricerca: i miei glutei, il mio seno, la mia faccia di profilo, le mie mani, i miei piedi se li fotografo io non erano come quelli delle altre fotografie, se usavo il bn vedevo il mio corpo non troppo differentemente da quello delle varie modelle che usavo per i miei lavori.

Negli anni successivi la ricerca è continuata, ho fotografato molto nudo, molte donne nude, mi sono fotografata molto, amando ormai il mio corpo e riconoscendone l'unicità.
Ero consapevole degli inganni della mente e della immagine.

Poi l'incontro con la bulimia, un altra bestia che attacca molte donne e purtroppo oggi anche uomini, anche in questo caso decisi di non lavorare con gli stereotipi: il vomito, la magrezza, la grassezza, anche perchè incontrando chi ne soffriva capivo che l'immagine ancora una volta creava stereotipi errati.
Le donne che soffrono di bulimia spesso sono persone normalissime,  alcune bellissimi, insospettabili e così decisi di mostrare il mio corpo, non perfetto come quello delle modelle ovviamente, ma vero, reale, raccontandolo con immagini molto artistiche, poetiche, sculture di carne mi piace definirle, e anche li la scelta di un'istallazione fotografica e relazionale, accanto alle sculture la rappresentazione del suicidio che la malattia rappresenta, suicidio lento del corpo, suicidio del prioprio io, suicidio del femminile, suicidio come estremo rifiuto della propria unica caratteristica: il nostro aspetto.
Nasce così So Ugly.
© Vanessa Rusci 

© Vanessa Rusci

© Vanessa Rusci

© Vanessa Rusci



© Vanessa Rusci


Partono poi le sperimentazioni con le donne, fino ad arrivare due anni fa a proporre questo Work shop:
Uno spazio di espressione fotografico, che serve a capire l'immagine e i suoi inganni, che serve a comprendere l'unicità di uno scatto fotografico, che serve a scoprire il proprio corpo e la grandezza della fotografia come strumento di racconto, di conoscenza, di consapevolezza.
Solo per donne per sentirci libere anche di spogliarsi se vorremo.
Senza nessun altro motivo.
Un work shop per chi inizia, impareremo insieme, per chi è esperto, approfondiremo e scambieremo le nostre esperienze, per chi vuole conoscere se stessa,  il proprio corpo e qualche "verità" in più sulla fotografia.
Guarderemo anche i lavori di grandi fotografe che hanno lavorato sui temi che il ws tocca e ci divertiremo.
Solo per 8 partecipanti, molti posti già prenotati
Info sul workshop:
https://www.facebook.com/events/419778661525216/?ref=3&ref_newsfeed_story_type=regular

Fotografie sul lavoro ANA Anoressia
e istallazione
https://varu71.see.me/atp2013

http://www.saatchiart.com/art-collection/Ana/90690/24064/view

Fotografie sul lavoro SO UGLY Bulimia
http://vanessaruscivaruartecontemporanea.blogspot.it/


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